L'inquietudine alberga nel quotidiano, in gesti e situazioni comuni, nella ciclicità di abitudini che sfociano nella paranoia, nel silenzio che ottenebra la mente, quando è immersa nella solitudine.

E a ben guardare, setacciando il fondale buio di questi racconti, è la solitudine il filo conduttore che attraversa le pagine di Andrea Bruschi, con la sua flebile luce stanca, disperata e senza scampo; solitudine come scelta, come condizione di auto-emarginazione in cui si rifugiano, di volta in volta, i protagonisti. Solitudine disarmante, assoluta, inevitabile, eppure l'unica dimensione possibile in cui stabilire, nell'impossibilità di rapporti autentici, la pace, o un'illusione di pace, con se stessi.

Agile e sottile la penna dello scrittore, che indaga le pieghe nascoste di anime dannate, che si infila sotto la porta di case "normali" e fredda trascrive quello che gli occhi non vogliono vedere. Veloce il ritmo, asciutto lo stile, Bruschi insinua nel lettore sospetti e paure, impedendogli di evadere dall'incubo, nella morbosa curiosità di chi cerca un finale credibile, senza mai deluderlo.